L’AI prenderà sempre più piede nel campo della salute personale: i dispositivi wearable stanno già controllando il nostro stato di salute, si accorgono se cadiamo, se abbiamo il battito accelerato. Sono in grado di chiamare autonomamente i soccorsi. Ma parliamo di semplici applicazioni deterministiche.
L’avvento prossimo venturo dell’AI nella gestione della nostra salute rappresenta prima di tutto un problema di gestione del dato: finché i dati restano sul dispositivo, questi non rappresentano un rischio per la nostra privacy, quando verranno trasferiti, sia pure anonimizzati, sulla cloud, spostamento necessario per addestrare un’AI, vari problemi di gestione malevola del dato potrebbero diventare evidenti.
Ma questo spostamento, necessario, potrebbe portare tanti benefici e salvare molte vite umane. Riflettiamoci insieme.
Al momento ogni anno nel solo mercato statunitense si vendono circa 20 milioni di smartwatch.
Immaginiamo che tutti i dati raccolti da questi dispositivi vengano raccolti in un cloud e utilizzati per l’addestramento di una o più Intelligenze Artificiali, consentendo una diagnostica precoce di problemi cardiaci, disfunzioni del peso corporeo, glicemia (i prossimi modelli saranno in grado di misurarla), temperatura corporea, etc.
L’AI potrebbe generare degli avvisi e l’utente andare a fare i necessari esami con grande anticipo: una prevenzione ineguagliabile rispetto ai metodi attuali. Per la temperatura corporea, pensiamo alla diagnostica rapida per COVID-19 per attualizzare un esempio.
Questa semplice funzionalità potrebbe salvare molte vite, ridurre la cronicità di alcune malattie, prese in anticipo, rassicurare le persone sulla propria salute (speriamo non troppo: restano da fare i controlli di routine)
Il lato oscuro dello specchio è appunto la gestione del dato: immaginiamo che non sia anonimizzato totalmente e che, per esempio, le assicurazioni sanitarie potessero accedervi e modificare i propri premi a seconda della salute rilevata. Sarebbe un disastro.
Il mondo ormai guarda sempre nella direzione dell’integrazione uomo-macchina. I wearable sono un primo passo verso i cyborg. Non credo che torneremo indietro. Cerchiamo di portare avanti le cose con coscienza ed eticamente.
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