L’essere umano è l’unica specie del pianeta capace di costruire un proprio successore. Qualcosa che resterà dopo di noi e prospererà anche nel caso di estinzione della nostra specie.
Al momento siamo ancora lontani da un simile fantascientifico obiettivo, ma promettiamo bene, e potremmo farcela se non ci autodistruggiamo prima.
Il progetto ARE (Autonomous Robot Evolution) rappresenta uno dei primi esempi di robot ad evoluzione autonoma.
Una volta stampato in 3D ed assemblato l’hardware di un primo robot, esso potrebbe teoricamente raccogliere dati per migliorarsi e generare da solo un “figlio” più evoluto.
L’evoluzione potrebbe essere considerevolmente veloce e, con le risorse necessarie, procedere verso orizzonti a noi completamente sconosciuti.
L’autonomia e la replicazione potrebbe essere tale da consentire per esempio una più rapida esplorazione di Marte, la creazione di un “testimone” sopravvissuto della vita sulla terra qualora ci estinguessimo per qualche motivo, un ausilio attivo all’umanità sul pianeta.
I robot potrebbero evolversi in forme specialistiche a seconda dei casi, senza alcuna limitazione: robot che producono microprocessori sempre migliori, robot che volano, che vanno nei profondi abissi o nello spazio. Robot costruttori, che affinano le proprie tecniche iniziali ad ogni generazione.
Immaginiamo una ricerca scientifica basata sugli esperimenti, senza preconcetti, totalmente automatizzata. Potrebbe portare a scoperte sensazionali, per cui altrimenti servirebbero decenni.
Non avrebbe nemmeno importanza la goffaggine dei primi modelli dell’ecosistema robotico: evolveranno presto in modelli dalle capacità inimmaginabili.
Purtroppo temo che per creare il modello Eve di tutto questo serviranno vari decenni e non è detto che ne vedremo mai i frutti.
Servirebbe un’umanità unità nella ricerca scientifica invece che divisa in guerre da cortile.