Sara Petroro, freelance classe ‘81, analitica e multi-potenziale. Una laurea in ingegneria e una passione viscerale per il marketing strategico, i business ben progettati e i team agguerriti.
Segni particolari: rock addicted.
Market Analyst e Onlife strategist: spiegalo alle nostre nonne
Ti dico come probabilmente introdurrei il discorso alla mia:
“Immagina di voler aprire un ristorante. Tu sai cucinare bene, che ci vuole? Si tratterebbe solo di avere una cucina più grande e dei posti a sedere, no?
Però, nonna, sorge un problema: come facciamo a sapere se faresti il tutto esaurito come nelle tavolate di Natale? Magari qui in zona ci sono già troppi locali, e i clienti gli sono particolarmente affezionati. Dovremmo capire meglio cosa vogliono le persone e come farle arrivare da te.”
Ecco, in questo io aiuto imprenditori e colleghi: cerco di capire di cosa ha bisogno la gente (ossia la richiesta di mercato), che cosa offrono i concorrenti, e in che modo possiamo proporci con il nostro business, vendendo un prodotto – o servizio – che:
- soddisfi un bisogno reale;
- sia sostenibile;
- sia riconosciuto di valore dai potenziali clienti;
- e in cui i competitor hanno, per così dire, “il fianco scoperto”.
Questo, in modo estremamente semplificato, è l’unico modo per costruire un’azienda che “sta in piedi”.
Pensa che, ad oggi, l’errore principale per cui le nuove realtà falliscono è classificato come “NO MARKET NEED”, ossia: nessun bisogno di mercato.
Fornisco inoltre le indicazioni strategiche per essere presenti nelle varie piattaforme in modo profittevole.
Ho scelto di utilizzare il termine “OnLife” perché ormai nessuno più si muove esclusivamente online o, per contro, offline.
Siamo tutti costantemente connessi e non ha più senso chiedersi se in dimensione reale o virtuale.
Il termine “OnLife” esprime proprio questo concetto, ed è giusto tenerne conto quando si pensa ad una strategia di marketing.
Sai che la mia fissa è “cambiare il mondo un millimetro alla volta” tu fai qualcosa a riguardo?
Da piccolissima, ancor prima di voler fare lo scienziato e l’astronauta, il mio pallino era diventare suora e andare in Africa ad aiutare i bambini meno fortunati.
Diciamo che il concetto di aiuto ce l’ho nel DNA.
Oggi cerco di cambiare il mondo in molti modi diversi, dai piccoli gesti quotidiani (ad esempio dando l’esempio sulla gestione dei rifiuti) a quelli più sporadiche, ma non per questo meno impattanti.
Te ne dico tre:
Donando il sangue.
Spesso non supero la visita preliminare perché ho la pressione bassa per costituzione, oltre che vene piccole e profonde.
Ma continuo a provare. L’ultima volta l’infermiera mi ha guardato stranita, mentre stringevo la pallina per aiutare il sangue che non voleva saperne di venir fuori: “Ma chi te lo fa fare? Devi stare qui il doppio del tempo degli altri, devi essere molto convinta”.
Ecco, me lo fa fare la certezza che il cambiamento parta da noi, siamo noi che lo determiniamo attraverso le nostre scelte.
Raccolte alimentari.
Gli ultimi due anni sono stati strazianti, molta gente è rimasta senza lavoro, e senza possibilità, spesso, di mettere il piatto a tavola. Credo non ci sia bisogno di aggiungere altro.
Con il mio lavoro. Ho scelto di specializzarmi in analisi di mercato proprio per evitare agli imprenditori di “schiantarsi” con progetti folli.
Ne ho visti tantissimi venire da me con grandi ambizioni e zero strategia.
Soprattutto, senza nessuno che gli dicesse che era proprio l’idea di base sbagliata.
Qualcosa si sta muovendo, grazie ad un pugno di colleghi che sta facendo buona informazione in merito.
Io cerco di divulgare il più possibile, per quello che è nelle mie possibilità.
E poi c’è l’ultima, che sto ragionando in questo periodo.
Visto che non sono mai stata in Africa, alla fin fine, sto valutando le adozioni a distanza.
Che bias hai incontrato nella tua professione?
Moltissimi! Siamo TUTTI, continuamente, soggetti a bias. L’importante è esserne consapevoli.
I tre più frequenti:
Optimism Bias: la tendenza a vedere le cose in modo più roseo – e meno realistico di quanto effettivamente possano essere.
Spesso è accompagnato dalla mancanza di consapevolezza di come un business andrebbe strutturato, e questa tendenza aumenta pericolosamente quando alle spalle c’è una formazione marketing minimale (che si tende a vedere come “tutto quello che c’è da sapere”).
Ecco è questo il caso in cui spesso entra in gioco anche il self-serving bias, la convinzione cioè di essere più bravi della media delle persone (degli imprenditori in questo caso).
O, detta in modo diverso, è la tendenza a sovrastimare le proprie competenze e capacità, dando spesso la colpa di un fallimento a cause esterne.
Se un’azione funziona è merito mio, se si rivela un fallimento è colpa di qualcun altro.
Pericolosissimo perché disturba notevolmente una visione chiara e disincantata della realtà.
Un altro bias, immancabile in questo terzetto, è l’IKEA effect.
Ossia la tendenza a sopravvalutare qualcosa che abbiamo costruito da soli.
Un classico esempio è quello dell’imprenditore che ha tirato su da zero il proprio business.
Ci ha investito tempo, soldi, entusiasmo.
Ha passato notti insonni. Ha fatto rinunce di ogni tipo per portarlo alla luce. Fargli comprendere che sono state intraprese scelte sbagliate, che va rivisto radicalmente… come dire: è veramente dura!
Fai spesso delle live interessanti: cosa ti ha insegnato questa attività social? Che frutti ha dato?
Mi sta insegnato moltissimo, soprattutto sulla gestione della mia paura – sì, proprio paura! – di stare davanti ad una cam.
In realtà mi ha portato a conoscere colleghi meravigliosi, che sono in primis persone di spessore, con cui ho molte caratteristiche in comune, e con cui spesso condivido visione e valori.
Avere la possibilità di scambiare idee ed esperienze con un gruppo con competenze diverse è impagabile: ti aiuta e stimola professionalmente, donandoti una visione più ampia e completa, ti spinge a crescere.
Ma ti supporta anche umanamente, si crea una sorta di “seconda famiglia” con cui condividere idee e progetti, ma anche paure e difficoltà.
Poi, ovviamente, c’è l’aspetto riflesso dell’ampliamento della rete di contatti e delle opportunità lavorative.
Ho già detto che è impagabile?
Un consiglio agli imprenditori
Non iniziate MAI un’attività senza un business plan degno di questo nome.
Affidatevi a professionisti qualificati, magari specializzati proprio in questo.
Il business plan è una bussola indispensabile: da indicazioni su cosa chiede il mercato (analisi di mercato appunto), se partire con l’idea ed in caso di risposta affermativa come proporsi strategicamente.
Ma indica anche le risorse minime necessarie per avere un buon risultato, le attività da fare e, se è molto ben strutturato, anche quelle da NON fare.
Rimarco il concetto: affidatevi a professionisti di comprovata competenza per la sua realizzazione.
Fare un business plan “alla buona”, ahimè, equivale a costruire fondamenta di cartone: basta un niente e crolla tutto.
Come si fa a contattarti professionalmente?
Lo strumento migliore è l’email: sara@sarapetroro.it
Ma, per chi volesse conoscermi meglio, mi si può trovare su diversi canali:
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