Faccio una piccola trasposizione della frase di Pessoa nel coding: un’attività che molti considerano solo tecnica e ingegneristica, e che invece io considero una delle più grandi forme d’arte e creazione che l’essere umano sia stato capace di realizzare.
Con il software si può creare qualsiasi cosa: non ha i limiti delle arti che conosciamo, ne ha qualche caratteristica fondante, come la necessità di talento, studio, applicazione e perfino la necessità di dettare una propria corrente artistica, una cifra stilistica, nel mondo che ci circonda.
Il developer può fare la propria arte da solo, avere un mecenate (o più d’uno se fonda una startup), lavorare come servo a bottega.
Può lavorare in squadra se l’opera artistica lo richiede, non c’è niente di strano ad essere in tanti per affrescare una chiesa o per realizzare un film.
Negli ultimi anni si tende a trasformare simili artisti in imbianchini, seguendo una religione della ingegneria del software che considera tutti sostituibili, tendendo a considerare migliore chi non pone problemi a chi ha una propria estetica del lavoro e ne difende i principi.
Nel nome della democratizzazione dello sviluppo del software. si tende a render possibile che tutti facciano tutto, anche se ben sappiamo che i Van Gogh sono pochissimi e che la maggior parte di quelli che escono dalle scuole di pittura, sono solo degli imbrattatele.
Questa visione un po’ naive è dovuta certamente alla penuria di teste, sia nel coding, che in quelli che devono assumere gli sviluppatori, tendendo così a scambiare uno formato in 3 mesi online, in una risorsa subito utilizzabile.
Saper scrivere “Hello World!” in 100 linguaggi ci rende esperti di quei 100 linguaggi? Ovviamente no, ma simili accademie sforna-programmatori cercano di farlo credere allo sfortunato imprenditore che assumerà imbianchini impreparati.
E voi, quale arte avete?