Qualunque manager che si occupa di un team, si troverà a fissare delle scadenze, degli sprint, dei task a tempo, e a doverne rispondere nella “catena alimentare” dell’azienda.
Qualche anno fa mi occupavo esclusivamente di “panic developing”, l’agenzia web che guidavo prendeva progetti “miracolo” da finire in un weekend.
Il prodotto risultante era pessimo, spesso sul filo della finzione, ma consentiva al manager di turno di presentarsi davanti alla propria Board of Directors dicendo di essere perfettamente nei tempi del piano di lavorazione.
Sì trattava di una rappresentazione: non si fanno i miracoli in un weekend, e il prodotto sarebbe stato l’incubo di un team di sviluppo successivo. Il nostro lavoro avrebbe solo rimandato l’inevitabile.
Perché farlo allora? Noi per soldi ovviamente. Il manager per il tempo.
Le grandi aziende spesso ne hanno più che a sufficienza per completare un progetto, e dopo una dimostrazione del prodotto, altrettanto prima del lancio.
Il manager nel panico poteva quindi vantarsi del successo, poi burocratizzare il progetto, sollevare dubbi sulla sua utilità, e archiviarlo. Oppure cambiare azienda in tempo finché stava sugli allori, lasciando la patata bollente al suo successore.
Fallire una scadenza è meglio?
Per il bene dell’azienda di cui si fa parte è meglio fallire una consegna che comportarsi come i manager sopra descritti. Le scadenze altrimenti diventano tossiche, danneggiando l’azienda ogni volta che vengono raggiunte.
In informatica, il project management ha basi solidissime, se l’analisi è stata compiuta con estremo dettaglio. Quindi qual è il problema a rispettare una scadenza? Il problema è l’azienda nella realtà.
Le analisi sono teoria. Un paradiso in cui non ci si aspetta che il team venga subissato di ticket e task che non c’entrano con lo sprint, in cui non si tiene conto dell’umanità di ognuno di noi, del condizionatore rotto a 40°, della zia che viene a chiacchierare mentre fai Smart Working, dell’emicrania al momento giusto.
Quindi le scadenze non si possono rispettare?
Certo che si può. Occorre ridurre la tossicità dei task del team, impedire troppe deviazioni dal piano originale, in questo il CTO deve essere l’estremo difensore, ma anche avere l’appoggio di tutta l’organizzazione aziendale.
Il team deve essere una squadra vincente. Se lo deprimiamo, non lo rendiamo partecipe, non abbiamo l’empatia necessaria, tutto rallenterà.
L’azienda deve mostrarsi una squadra coesa: non per marketing o davanti ai media, ma nella realtà. Bisogna premiare e non punire, comprendere e non avversare, dare obiettivi credibili e premianti.
E così avrà successo.