Quando ho iniziato il mio lungo viaggio all’interno delle aziende che mi hanno ospitato durante la mia carriera, l’emotività era mal vista: l’unica accettata allora era quella delle sfuriate del “capo” che era tenuto a maltrattare chiunque.
I conflitti andavano non evitati, ma nascosti nell’ombra, in attesa di potersi vendicare alla prima occasione. Chiarirsi o addirittura chiedere scusa non era previsto.
Io per carattere sono tendenzialmente conflittuale. Se qualcosa non va ci tengo a dirlo subito, e se esagero tendo poi a scusarmi.
Chiedere scusa infatti non abbassa né la mia opinione su di me, né quella altrui.
Gli emotivi portano con loro un bagaglio: l’empatia. Quindi se qualcosa non va in qualcuno dei componenti del team, è facile per un emotivo capirlo. Non sempre lo si capisce a livello conscio, magari si prova una sensazione, un fastidio, un tarlo. I tarli vanno sviscerati, chiariti, compresi, o non ci fanno dormire.
Tendo ad essere una persona ironica, e a ridere di tutto, disgrazie comprese. Questo mi aiuta a sdrammatizzare errori grossolani che coinvolgono il team e a riderne tutti assieme. Lapidare chi ha sbagliato infatti non fa guadagnare alcunché, causa solo tossicità nel team.
Nelle aziende di oggi le soft-skill, tra cui l’empatia, sono prese in seria considerazione e non più osteggiate. Certo, spesso non si riconoscono con un test o a livello analitico, ma durante il lavoro si notano e si valorizzano.
Spesso parlando con ex-colleghi, ed attuali amici, mi rendo conto che essere un emotivo non è poi così male. I rapporti durano dopo il lavoro, anche se si sono prese strade differenti, se si è cambiata città o perfino stato.
Provare affetto in azienda per i componenti del proprio team non è niente di brutto, non porterà nessuno ad approfittare di voi, a vederla come una debolezza.
Aprite quindi le vostre emozioni e lasciate che in azienda tutti sappiano che ci tenete, a loro e all’azienda, ai risultati che otterrete assieme, al gioco di squadra che ne deriverà.
Vivrete meglio con tutti.