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Poche idee, ma confuse

Quando mi trovo a parlare con non addetti ai lavori, tendo a spiegare ogni ovvietà. Infatti non è detto che il nostro interlocutore conosca le basi dell’argomento.

Non starò a fare il coccodrillo sul noto divulgatore da poco defunto, benché fosse una persona immensa: vorrei saper spiegare le cose complesse come ci riusciva Piero Angela, non lo nego.

Nel nostro lavoro le cose da spiegare e da non sottovalutare sono infinite, ricordo un cliente di un’agenzia con cui collaboravo che chiese: “ah ma il sito sta su un computer quindi? Non possiamo usare il mio?

Ricordiamo a noi stessi che non esistono domande stupide: il cliente può essere il famoso pesce a cui chiediamo di arrampicarsi su un albero.

Semplicità significa sottrarre l’ovvio e aggiungere il significativo.

John Maeda: The Laws of Simplicity: Design, Technology, Business, Life

Ricordiamo quindi a noi stessi che ci pagano perché siamo degli esperti. E siccome lo siamo dobbiamo spiegare per bene e nel dettaglio tutto quello che può sembrarci ovvio.

Se non riusciamo a spiegare qualcosa, siamo noi gli ignoranti, non il cliente che domanda.

In passato ho visto consulenti ergersi in cattedra con supponenza e trattare le domande del cliente con sufficienza, quasi ridicolizzandole.

Non c’è atteggiamento più sbagliato e meno professionale di questo.

Se dovete arrivare a spiegare cosa è una email ad un cliente, fatelo. Vi paga ad ora dopotutto.

Un altro errore che dovere evitare però è l’opposto: bombardare di informazioni il cliente lasciandolo attonito non vi mostrerà più geniali di quello che siete.

Misurate quindi la vostra dialettica cercando di essere concisi ed efficienti. Il cliente non potrà che ringraziarvi.

E forse sarà meno confuso e troverà idee migliori.

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