Ogni team di sviluppo moderno deve cercare di curare la diversità: una risorsa insostituibile verso il bene del prodotto finale.
La diversità è di tutti i generi, non solo di genere o di varianti psicofisiche quali etnie, abilità, gender, ma anche semplicemente di differenze regionali, di studi, di modi di vivere, di età e di esperienze.
Tempo fa ho avuto l’opportunità e l’onore di lavorare con uno sviluppatore backend, giovanissimo, e privo della vista. La sua visione dell’accessibilità non possiamo raggiungerla leggendo la legge Stanca o le successive normative europee sull’accessibilità del software.
Il software deve sempre avere una visione inclusiva: non parlo di sola accessibilità, occorre che il copy dei testi non vada mai a ledere delle categorie di persone, occorre che chi ci lavora non sia tutto dello stesso ceppo e con le medesime caratteristiche, occorre che si dia massima importanza alla UX in modo che consenta a tutti di utilizzare il software produttivamente e senza barriere o difficoltà di alcun genere.
I team che ho trovato più dinamici sono sempre stati abbastanza eterogenei, quello attuale prende il meglio da tutte le età e generi, anche se essendo piccolo, non tutti sono ancora rappresentati.
Quando facciamo i colloqui per inserire nel team un nuovo componente, dobbiamo valorizzare la diversità e non mostrare dei bias (che tutti abbiamo in qualche modo). Durante l’intervista dobbiamo capire quale valore porterà questa melting pot in azienda, e spingere per ottenerla, sempre migliore, con le future assunzioni.
E migliorando così le aziende, faremo anche un piccolo passo per migliorare il mondo intorno a noi.