Ieri, in un acceso thread sulla pagina del Milanese Imbruttito, si commentava, con la foga con cui solo su facebook si fa, la nascente normativa UE sul diritto alla disconnessione.
Il rimando della pagina era a questo articolo di Febbraio di Ilaria Betti: Diritto alla disconnessione per i lavoratori da remoto
Un mio commento, qui allegato, ha stimolato una discussione piuttosto emotiva sull’argomento:
Ora, “mail” è un termine un po’ astratto: nessuno usa le mail davvero per gestire un team di sviluppo, ci sono diecimila tool diversi per farlo. Sì tratta sempre e comunque di tool asincroni, come le e-mail, e pertanto costruiti per poter domandare quando si vuole e rispondere in egual modo.
La normativa Europea, appositamente per il lavoro da remoto tende a proibire le e-mail oltre l’orario di lavoro, di un capo probabilmente dittatoriale che pretende una risposta. Il problema come al solito è il sistema malato delle aziende, non lo strumento e-mail o similare.
L’idea che “in Remote Working non si stacca mai dal lavoro” è quanto di più ridicolo si possa propinare alle masse ignoranti; sarebbero meglio le rilassanti pause sul Grande Raccordo Anulare in fila sotto al sole per ore per recarsi al lavoro? Il pranzo milanese con l’insalatina a 15€ nel bar triste e maleducato sotto all’ufficio? Poi al ritorno a casa si sprizza tutti di energia e di gioia, dopo cotante soddisfazioni.
La normativa che immagino voglia sanare il problema delle mail inopportune, poggia le basi su uno scenario ben preciso:
Lavoratore in smart/remote working, orario di lavoro fisso, come in ufficio, organizzazione del lavoro non agile.
Nel caso di uno scenario di lavoro moderno di un team di sviluppo software, ci troviamo invece con:
Lavoratore in remote working, decentralizzato dovunque nel mondo; orario di lavoro libero, misurazione dei risultati sugli obiettivi; organizzazione del lavoro agile, metodo scrum o kanban.
È piuttosto evidente che nel secondo caso, qualsiasi metodo di comunicazione asincrono non possa disturbare la salute mentale di nessuno. Semplicemente se ci sono cambiamenti nel piano di lavorazione, se ne terrà conto nei modi e tempi opportuni.
Questo metodo di lavoro fluido è stato indicato nella discussione come “lassismo e disorganizzazione”.
Aristotele avrebbe avuto temo qualcosa da ridire sulla logica della questione, ma quando il mio interlocutore ha proseguito sostenendo che, “quando sarò io a capo dell’azienda” (leggi: mai) “invierò lettere di richiamo a tutti quelli che mandano mail fuori dagli orari d’ufficio” (probabilmente in diligenza, col sigillo di cera e scortate dai moschettieri del Re) e che “se questa è la classe dirigente che dovrebbe salvare l’Italia…” (caro interlocutore, sì: non saranno quelli con la tua cultura aziendale ottocentesca a portarci nel futuro) ho come spesso mi succede, abbandonato la discussione, che poteva portare buoni contributi anziché logiche a livelli dell’analfabetismo funzionale.
Il potere dei social è fantastico: ci si può arricchire e fare esperienze culturali notevoli, si può farlo tutti noi, tutti assieme. Invece ci si polarizza e le discussioni diventano grotteschi litigi. Non so se sia l’abitudine italiana di discutere troppo e troppo a sproposito di ogni questione, ma è un grosso limite.
E voi, sperando di non suscitare discussioni violentissime, cosa ne pensate del diritto alla disconnessione?