Essendo sul pezzo da tempo, ho vissuto la prima fase dell’Intelligenza Artificiale: quella un po’ fallimentare dei sistemi esperti, con Prolog e Lisp a farla da padroni incondizionati. Di autentiche reti neurali allora si parlava pochissimo, al massimo si implementava qualche Rete di Kohonen, ma c’erano poche risorse hardware a disposizione.
L’avvento della “nuova” AI mi ha emozionato particolarmente, le sue applicazioni infinite: non siamo ancora arrivati alla cognitività, alla riflessione, alla deduzione, ma questi motori statistici “neurali” fanno miracoli ugualmente.
Se avessi mostrato i risultati di una AI attuale durante la prima fase, sarei sembrato un mago.
Se avessi detto che avremmo fatto cose simili, un pazzo.
Ho una certa passione per i telefilm, e tra questi oggi voglio citare “LIE TO ME”, dove uno scienziato esperto in micro-espressioni facciali, riesce a comprendere da esse svariate sfumature di ogni persona.
Nella vita di tutti i giorni, se non siamo particolarmente dotati ed empatici, difficilmente riconosceremo le emozioni più nascoste nel volto dei nostri interlocutori. Un’AI invece può compiere questa analisi con estrema attenzione.
Guardando una persona parlare, un’AI è in grado di misurare ogni più piccola espressione facciale e memorizzarla, formulando grafici e addestrando modelli sul riconoscimento effettuato.
La stessa analisi può essere effettuata sul timbro della voce, cercando emozioni e stress.
Infine, dopo un’opportuna trascrizione, si può analizzare il linguaggio usato, cercando emozioni, contestualizzandole al contesto, efettuando controlli di coerenza.
Anche in questo campo le questioni etiche appaiono infinite: è lecito utilizzare strumenti simili per comprendere meglio il nostro prossimo? Quali sono gli usi coercitivi, plagiari e criminali che possono utilizzare queste tecnologie?
Si tratta di strumenti utili, o di armi?
Non ho la risposta, come di consueto penso che la tecnologia debba essere usata per il bene.
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