In ogni team di lavoro possono sorgere delle tossicità, queste sono profondamente diverse, e di diversa modalità di individuazione e gestione, se il lavoro si svolge in ufficio o in remoto.
Personalmente lavoro in Full remote working dal 2006: non sono un improvvisato causa pandemia, e ho imparato a riconoscere le situazioni tossiche che possono crearsi con il lavoro in remoto; allo stesso tempo ho vissuto e lavorato anche prima del 2006 ed ho quindi una buona fotografia anche delle problematiche che si creano in ufficio.
La pandemia ha portato il lavoro in remoto improvvisamente alla grande massa di lavoratori: questo ha creato anche problemi nuovi, che prima non si immaginavano nemmeno, quindi anche noi “veterani” del remoto abbiamo conosciuto nuove situazioni e conseguentemente nuove tossicità sul lavoro.
Durante il panico dell’inizio della pandemia ho fatto consulenza pro-bono a decine di aziende in transizione immediata al remoto, cercando di rendere in pochi giorni una parvenza di operatività a realtà fortemente basate sull’ufficio.
Alcune di queste realtà hanno affrontato la transizione con successo, e dubito che torneranno mai come prima, altre non hanno saputo rinunciare, soprattutto a livello manageriale, a vecchie forme di controllo del personale e ad orari fissi, fallendo miseramente e dovendo tornare al più presto in ufficio.
Veniamo a qualche esempio di lavoro tossico, in ufficio e in remoto:
In ufficio:
- Uffici inadeguati, rumorosi, male illuminati, non rispondenti alle norme.
- Colleghi invadenti, con poca cura di sé e della propria igiene personale, con poca responsabilità.
- Gruppi di potere di colleghi, mobbing, insinuazioni.
- Manager con manie di controllo, arroganti, che fanno micromanagement, che badano più ai pettegolezzi aziendali che alla realtà, che non dialogano con i dipendenti.
- Carriere basate non sul merito ma sulle simpatie e su manovre meschine.
- Bullismo, prevaricazione, assegnazione di carichi di lavoro esagerati a poche persone.
- Stress da traffico, mezzi pubblici, spostamenti, pasti costosi e poco soddisfacenti, assenza di relax.
In remoto (in emergenza pandemica e non):
- Scelta obbligata di lavoro a casa, senza formazione preventiva, con mezzi improvvisati.
- Situazione familiare distraente, rumorosa, che riduce la possibilità di concentrazione.
- Spazi inadeguati in casa, spesso condivisi con gli altri lavoratori e studenti della famiglia.
- Scarsa abitudine e mancanza di formazione nello svolgimento autonomi di task, nel lavoro responsabile a obiettivi e non basato sul tempo.
- Impreparazione manageriale al lavoro remoto ed agile.
- Ansia manageriale di controllo con decisioni dubbie ed assurde.
- Scarsa preparazione dei manager alla misurazione degli obiettivi.
- Eccesso di videocall inutili e dannose.
- Organizzazione del lavoro su strumenti improvvisati, poca cultura sugli strumenti da utilizzare.
Mentre, prima dell’emergenza, il lavoro remoto era fondamentalmente una scelta di una nicchia di persone che potevano farlo, che erano in grado di organizzarsi, (come dicevo ieri, il mio ufficio pesa 5Kg) e che avevano i modi e gli spazi necessari, ora milioni di lavoratori si sono trovati costretti al remoto, senza la necessaria preparazione e predisposizione.
Questa è anche l’occasione però per migliorare le condizioni del lavoro, consentendo il remote, il south working, prendendo in mano un nuovo metodo di lavoro più orientato al successo delle persone e non alla gestione di un gregge produttivo in ufficio.
I manager che sapranno curare questa transizione in modo soddisfacente avranno sicuro successo e serenità per il futuro, quelli che non sapranno fare sono destinati all’archeologia.
E voi, che tossicità rilevate sul vostro posto di lavoro, fisico o remoto che sia?