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Remote Control

Tendiamo a immaginare i robot come esseri totalmente autonomi, gestiti da una potente intelligenza artificiale.

Questi strumenti però possono anche cedere la guida all’essere umano, che in remoto, magari grazie alla connessione 5G, possono telecomandarli.

Alcune operazioni tipicamente umane non sono state ancora superate dalle macchine: un esempio per tutte la guida autonoma.

Immaginiamo di poter cedere la guida, per esempio, ad un pilota professionista quando siamo stanchi: il pilota in realtà virtuale vedrà quello che vede l’auto robot e ci guiderà a casa in tutta sicurezza.

Immaginiamo autobus e camion guidati da piloti che cambiano turno ogni quattro ore, restando comodamente in una sala di controllo, senza lo stress di ore di guida e periodi insonni e scomodi a bordo. Gli incidenti

Immaginiamo di voler prendere una boccata d’aria ad alta quota, indossando il nostro visore VR e usando il nostro drone in remoto, provando in qualche modo la sensazione di volare intorno a casa nostra.

Oppure meno poeticamente, i droni potrebbero essere di una società di sorveglianza e guidati dai loro operatori, in cerca di malfattori.

Potremmo dover fare un lavoro faticoso, per cui il nostro Personal Robot non è istruito o è incapace: niente di più facile, indossiamo il visore e i guanti, prendiamo il controllo della macchina e facciamolo senza sudare.

Vi serve un idraulico o un elettricista? In remoto il professionista userà il suo simulacro di metallo per fare il lavoro.

Immaginate in campo industriale o edile, quante attività faticose e pericolose possono essere gestite in questo modo. Si potrebbe provare a ridurre alcune morti sul lavoro che fanno vittime continuamente.

Quando colonizzeremo Marte, difficilmente rischieremo la pelle per costruire alloggi, in miniera, in esplorazione: avremo robot meglio adatti a noi all’ambiente circostante e al genere di lavoro e li guideremo in sicurezza dagli alloggi marziani.

Spero che fin da subito i costruttori di robot e quelli di esperienze in VR siano in grado di interfacciare i sistemi aumentando così le vendite di entrambi. Certo, la sicurezza informatica, andrà in questo caso curata maniacalmente.

Oltretutto darebbe posti di lavoro nuovi.

Aggiungo all’articolo la riflessione di Gianluca Deidda che mi ha concesso di pubblicare:

ID-0
[La strana storia del Remote Control]

oggi il post di Ricardo mi ha fulminato.
Peccato che non fossi diretto a Damasco, ma non si può avere tutto.

Le distopie sul pilotaggio remoto si sprecano.
C’è quella di Danieel Olivaw nei mondi di Asimov, con una umanità costretta ad abbandonare l’inabitabile superficie terrestre, isotropicamente agorafobica e demofobica, incapace di concepire una volta che sia celeste, patologicamente legata alla necessità di una bolla di minimo 6 pareti che la protegga, in cui i poveri sfigati che si sottopongono al terrore del volo (per non parlare di quello più grande del lancio in orbita) lo fanno con un pilota che non sta in cabina, ma a terra, km nel sottosuolo, e tratta il pronipote del 747 o del DC9 come un drone (la versione civile dell’attuale realtà militare, insomma) [questa cosa dell’autoreclusione fobica mi ricorda qualcosa, prima o poi mi verrà in mente]

Quella dell’anime (è da prima di mazinga che i nipponici son fissati) coi robottoni in cui riversare la propria coscienza, per non temere più il vuoto siderale, l’errore tecnico, l’incidente asteroidale, riducendo la mortalità umana ad un semplice problema di produzione industriale di ricambi (se non ti sei ancora visto ID-0 su netfliCs ora puoi)

Quella cinematografica dei replicanti (stavolta Philip dick non c’entra) con la civiltà intera che fonde il metaverso col tangibile in un onlife in cui vivono tutti come “piloti” del proprio avatar mai vecchio e sempre sostituibile senza mai uscire dalla propria cameretta, qualsiasi impedimento fisico annullato dalla connessione neurale
(che si potesse arrivare a vedere pure senza avere gli occhi ce l’aveva insegnato già William Gibson in Luce Virtuale, ben prima del buon Geordie Laforge in star trek)

Quella degli escoscheletri di Ridely Scott (ma anche il vecchio barattolo made in Stark Industries non è da scartare) che poi rivivono nell’edilizia e nell’industria pesante, come discendenti della terna, dell’escavatore, della gru a torre.

Tutte cose distanti, sembra.

Eppure alla nasa qualche soldino l’hanno speso per eliminare le EVA, col robottone antropomorfo che non richiede ossigeno o vestizioni infinite al limite del matrimonio e non teme il vuoto siderale, che possa rompersi senza drammi ed essere ristampato a bordo in ogni sua parte, senza dover subire la trafila di 4 ore di preparazione per 2 ore di manutenzione all’esterno.

Insomma, forse non tanto distanti.
In fondo anche le porte a fotocellula il tricorder (o era lo star tac?) o l’ipad alla Roddemberry, per andare là “dove nessuno è mai giunto prima” nel ’60 stavano solo nella TV di fantascienza, quarant’anni dopo
potevi trovarle fuori da qualunque eurospin.

Così l’impersonificazione remota non sembra tanto lontana, che si tratti di portare letteralmente sottobraccio i tubi innocenti in cantiere, condurre un aviogetto da sidney a NY e subito dopo uno da londra a Bejing, senza la fastidiosa pausa tecnica per l’equipaggio, condurre un taxi da Roma a viterbo e poi uno da Brooklin all’Upper East Side, per finire la giornata con la tratta da Lhasa a Mumbay, con un intermezzo per portare i turisti da Luna1 a Luna2 sul lunacod panoramico.

Si potrebbe perfino soddisfare Brunetta, che vuole tutte le chiappe pubbliche sulle sedie pubbliche, mantenendo il lavoro, se non proprio smart (dalla PA non si può pretendere troppo) perlomeno remoto.

Ma la cosa più avvincente, nonostante i contro:

  • tendenza al comportamento workaholic
  • globalizzazione al ribasso di salario di qualunque lavoro
  • soppressione del senso di pericolo e reposnsabilità
  • spersonalizzazione dei contatti umani
  • agorafobia e demofobia (poco male, a questo purtroppo ci siamo già)
    sarebbe il TELETRASPORTO.

Attualmente, limitandosi alla sola visione e comunicazione, la velocità di spostamento di un umano è quella della luce (sembra folle ma basta rifletterci): un click e vedi NY, uno e parli con Tokio, uno e sei a casa, uno e visiti Pert, un altro ancora e Bejing o Bugerru è lo stesso: solo per marte ci vorrebbero 8 minuti (inaccettabile lag), mentre per la luna basterebbe 1 secondo.

Il pilotaggio remoto porterebbe non solo i nostri occhi e le nostre orecchie ovunque nel sistema terra-luna, ma anche gli altri 5 sensi*, eliminando il concetto di lavoro fisicamente pesante o attività fisicamente impegnativa.
(non è un refuso: olfatto, tatto, gusto, equilibrio e propriocezione son davvero 5)

Si prospettano tempi aberranti, ma anche molto interessanti.

Qualcuno obietterebbe che in fondo anche lo star tac non l’abbiamo poi usato per chiamare scotty e negoziare la pace coi klingon, ma solo per mandare gli squillini prima e i BuOnGiOrNiSsiMo poi, ma resto ottimista.
🙂

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