Ho sentito un racconto di boiling point oggi.
Ne ho visti, sentiti a dozzine in passato, ne ho perfino vissuto alcuni.
In ambienti di lavoro tossici, sono un classico: qualcuno esplode e mette le mani addosso al capo o getta per terra il computer e se ne va.
Oggi avevo la febbre ed un raffreddore terribile: la confidenza del malcapitato l’ho presa con un po’ di spirito di sopportazione.
L’amico avrebbe dovuto lasciare il lavoro tempo fa: senza fuochi d’artificio, con un preavviso, senza rovesciare un caffè americano in testa al suo manager diretto.
Ha sbagliato, ma non sembrava pentito: era ancora carico a mille di adrenalina per il gesto plateale.
È un bravo professionista, nell’ambito del software android: spero che la sua reazione eccessiva resti nota a pochi e non gli precluda la ricerca rapida di un nuovo lavoro.
Lo stress sul lavoro può esserci, può essere normale, va gestito bene, in modo che nessuno raggiunga mai il punto di ebollizione. I sintomi di uno stress crescente vanno monitorati e alleviati.
I developer si nutrono di stress: ma anche qui c’è uno stress “buono” ed uno “cattivo” occorre saperlo distinguere.
La colpa di simili accadimenti non è mai solo di una persona. Va ricercata nel manager, nei colleghi, nel soggetto di attenzione. Tutti noi in azienda possiamo contribuire a far stare bene il nostro prossimo o a farlo stare male. Secondo me è un dovere di ogni componente del team occuparsi del bene dei propri colleghi. Basta un po’ di attenzione e di empatia verso il prossimo: no, non è solo lavoro.
Voi avete mai raggiunto dei boiling point? Raccontatemeli.