Saranno trent’anni che sento dire così, in centinaia di aziende.
Una specie di tradizione quasi inviolabile: ma ha senso?
Il periodo è quello più infausto per qualsiasi genere di vacanza e relax, tutto costa di più, tutto è rallentato dal traffico, tutto più stressante. Spesso un lavoratore con famiglia, nemmeno può permettersele in quelle due settimane d’inferno.
Le “ferie” hanno lo scopo di ricaricarci, fanno bene al corpo e alla mente, aumentano creatività e produttività.
Tutto giusto, ma ora che stiamo ripensando al lavoro in molti termini: remote e smart working, south working, nomadi digitali, metodologie agile, etc. ha senso andare in ferie tutti assieme come se si lavorasse nella fabbrica di Fantozzi?
Secondo me la risposta, come avrete già intuito, è no.
I team di sviluppo, quelli di cui mi occupo solitamente, hanno bisogno di staccare per vari motivi e in vari periodi; non hanno necessità di essere sempre tutti al lavoro contemporaneamente e le loro vacanze non compromettono i piani di lavorazione.
La presenza in caso di emergenze al lavoro di qualcuno, sempre, evita rischi di gestione del cliente, che magari lavora proprio in quelle due settimane ed ha un problema.
Lo sviluppo del software è un compito molto stressante, ed è facile che gli sviluppatori chiedano troppo a loro stessi, andando in burnout. Trascinare uno sviluppatore in attesa delle ferie uno o due mesi dopo, perché si fanno fisse per tradizione, è un errore clamoroso.
Scaglionandole con criterio si ottengono enormi benefici, per l’azienda e per la produttività dei lavoratori: ricordiamo che la felicità è la prima metrica da raccogliere: ne ho scritto in Misuriamo la felicità
Faccio quindi un appello a tutti i CEO con “le vacanze fisse”: dal prossimo anno, date libertà di fare le vacanze quando e come vogliono a tutti. Avrete davvero un team ricaricato, contento, privo di stress, e più ricco che gli hotel costano meno in altri periodi.
Buone ferie.
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