Un esercizio che chiedo spesso ai miei team è quello di mettersi nei panni altrui, facendo per un breve periodo un lavoro che poco c’entra con quello normale.
L’esercizio aiuta a capire come funziona l’azienda nel suo complesso, a capire “da dentro” il linguaggio professionale degli altri lavori, anche a divertirsi per le castronerie che si combinano sottovalutando i compiti e le competenze altrui.
Nemmeno io sono esente dai giochi, e mi sono trovato quindi a fare il frontender. Nulla di più lontano dal mio essere: non basta sapere come funziona un Frontend, le regole che lo governano etc. Il Frontend è un inferno per uno come me, abituato alla rigida logica dei backend.
In passato ho realizzato dei Frontend, ma è passata moltissima acqua sotto i ponti e trovarmi ad usare VueJs non è stata proprio una passeggiata.
Le richieste di prodotto, come al solito sono pixel perfect: la cosa mi fa impazzire ovviamente.
Cosa ho imparato da questo esperimento.
Il Frontend è una gabbia per matti: bisogna tener conto non solo del responsive, ma anche di tutte le beghe che si riscontrano su browser e device diversi: ad uno piace il webm, all’altro l’mp4 e quell’altro preferisce l’ogg. I video sui device mobili hanno regole paradossali: registrarli poi è un’autentica jungla.
Si perde un sacco di tempo per cose che sembrano semplici e si realizzano cose complesse in poco tempo: il mondo a rovescio.
Perfino cercare su Stack Overflow può essere complicato se non si conoscono alcuni termini.
Come fanno ad esistere i frontender e a non essere tutti ricoverati in manicomio, proprio non lo so.
In ogni caso l’esperimento è terminato, la consegna è avvenuta, e no, NON FARÒ IL FRONTENDER.
Naturalmente un frontender farà il sysadmin per vendetta.
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